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Razzismo a San Siro, l’ipocrita Allegri ha ragione: in Italia non si migliorerà mai

admin
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Qualche settimana fa Carlo Ancelotti si era fatto capopopolo di una causa che per molto tempo è passata quasi inosservata, appena menzionata. Giusto il tempo di indignarsi per qualche minuto per poi ritornare a far finta di nulla. Il continuo inneggiamento al Vesuvio con la speranza che spazzi via il popolo napoletano aveva spinto il tecnico partenopeo a chiedere l’interruzione delle gare in caso di cori di discriminazione territoriale. Il suo appello aveva trovato il favore di Gravina (presidente FIGC) e di Rizzoli (responsabile CAN) che avevano esortato gli arbitri a usare il pugno di ferro.

Senonché le continue richieste di Ancelotti alla Procura Federale nel corso di InterNapoli per i cori razzisti nei confronti di Koulibaly hanno avuto come effetto solo qualche annuncio dello speaker di San Siro. Cori a cui si è aggiunto il solito “Vesuvio lavali con il fuoco”, giusto il giorno dopo il terremoto di Catania dovuto alla nuova attività dell’Etna. Se poi per una partita di calcio si generano attacchi squadristi di ultras e ci scappa pure il morto, il livello culturale è davvero infimo.

Il costume italiano di affrontare i problemi che danneggiano il calcio dello stivale è semplice: se ne parla qualche giorno, si avanzano soluzioni e non si applicano. Tempo una settimana, tutto ritorna nella norma

Senza azioni di forza il problema non troverà mai soluzioni. La stessa idea di abbandonare il campo come suggerito da Ancelotti potrebbe essere addirittura penalizzante per il Napoli che, in termini di regolamento, subirebbe la sconfitta a tavolino. Inutile anche chiudere le curve se poi altri settori sono liberi di essere frequentati da intonatori imbecilli. Il cambiamento deve partire da dentro, con in testa il presidente De Laurentiis che anziché concentrarsi sugli arbitri deve impuntarsi nel chiedere nuove ferree regole. Come la chiusura degli stadi o l’esclusione a vita di coloro che si rendono protagonisti di cori indegni. E poco importa se la chiusura dell’intero stadio danneggia la parte buona del tifo, ma può essere l’occasione per spingere i veri tifosi a “cacciare” la parte malata del calcio.

Favorire la realizzazione degli stadi di proprietà potrebbe essere una soluzione

Ad oggi lo stadio rappresenta per una società un grosso investimento e una fonte di reddito. L’eventuale chiusura parziale o totale della struttura a seguito di episodi razzisti andrebbe a colpire lì dove fa più male: il portafoglio. Cosa che spingerebbe i club a usare la giusta tecnologia per individuare chi si rende protagonista di atteggiamenti non più tollerabili, fino a isolarli.

Per ora però ha ragione Allegri. In Italia non si migliorerà mai se non si mette mano al problema e se le parole non sono seguite dai fatti. Certo, fa un certo effetto però sentire la morale da chi, ipocritamente, si accorge di ciò che non va a corrente alternata. Lui che non sente i cori pro Vesuvio, lui che non vede gli striscioni pro Superga. Lui che può protestare veemente verso il quarto uomo senza incorrere in sanzioni e che può parlare ai microfoni di Sky tranquillamente senza che nessuno facesse una semplice domanda. “Con chi ce l’hai?”. Tutto troppo facile.

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