Braga-Napoli è stata raccontata come una vittoria fortunata degli azzurri. Se il risultato finale è stato viziato da un autogol va sottolineato come la sorte non abbia aiutato gli azzurri nel primo tempo
Il commento sulla sfida Champions del Napoli. La memoria è una fida alleata ma anche un avversario temibile. Spesso, infatti, capita che negli occhi resti solo la propria percezione di un evento (sia essa una piccola parte oppure una distorsione) e si perda la visione d’insieme. Nel calcio, in cui la passione è l’unico faro guida dei tifosi, il fatto che un aspetto negativo possa avere maggior centralità rispetto ad uno positivo è la prassi.
Il match di Champions League disputato dal Napoli contro il Braga è l’esatta trasposizione di quanto detto finora. La vittoria, arrivata in maniera rocambolesca, ha di fatto alimentato le critiche intorno alla squadra e alla gestione di Rudi Garcia. La tesi secondo cui il Napoli sia tornato dal Portogallo con tre punti a referto solo grazie all’intervento della dea bendata è stata abbracciata da molti, opinionisti e supporter. Il palo di Pizzi e la rete decisiva scaturita da un autogol di Niakaté sono di colpo diventate due colpe troppo grandi per poterle trascurare.
Se si procede ad un’analisi completa della partita, però, si nota come la fortuna abbia ben poco a che fare con il successo azzurro. Il forcing finale del Braga, infatti, ha cancellato quanto successo nel primo tempo. Nella prima metà di gioco il Napoli di certo non ha avuto il fato dalla propria parte. La clamorosa occasione del doppio palo, prima di Osimhen e poi di Di Lorenzo, con annesso salvataggio sulla linea di Mathaus e la traversa colpita dallo stesso Osimhen, con un destro a botta sicura, mostrano come il Napoli abbia creato tanto e non sia riuscito a concretizzare per questione di centimetri.

La partita di Braga, più che una lettura sul piano della buona sorte, merita delle considerazioni sul piano del gioco. I minuti finali, infatti, sono la riprova del fatto che gli azzurri non possono mai abbassare la guardia e considerare la partita vinta. Un errore molto grave, sintomo di una certa superficialità, che sia in Europa che in campionato si rischia di pagare a caro prezzo.
Addormentare la partita, quando il risultato è ancora in bilico, è di fatti un lusso che solo poche squadre possono permettersi. Normalmente queste hanno Guardiola in panchina.
Il Napoli, invece, per caratteristiche dei singoli deve correre e impegnarsi fino al triplice fischio, vittorie dilaganti escluse. Se si osserva l’11 tipo partenopeo si può notare come solo Lobotka possa avere nelle proprie corde il fraseggio orizzontale finalizzato al mantenimento del pallone. Lo slovacco può di certo appoggiarsi a Zielinski, che però è più portato alla verticalizzazione e alla corsa verso la porta. Gli altri interpreti che si muovono nella parte centrale del campo (Anguissa, Juan Jesus e Ostigard) non godono delle qualità tecniche sufficienti per poter interpretare questo tipo di impostazione del match.