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Ancelotti: “Questo Napoli può vincere: non credo si debba aspettare ancora tanto”

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Carlo Ancelotti questa mattina ha parlato all’Università della Campania Luigi Vanvitelli iniziando a descrivere il suo modo di allenare: “Si è innanzitutto persone.Non sono un allenatore, ma un uomo che fa l’allenatore. Bisogna saper ascoltare. Potrei pormi su un piano di superiorità per l’autorità che ho, ma non lo faccio: preferisco essere allo stesso livello. Credo che la trasmissione diretta sia il metodo migliore per avere la giusta applicazione perché dà una maggiore convinzione. Si può usare l’autorità e si può usare l’autorevolezza. Per far saltare il cavallo o si usa la frusta o la carota: non c’è un metodo universale ma si varia in base al carattere. Un’altra componente è la credibilità, nei momenti di difficoltà spesso i presidenti mi hanno chiamato per dire che ho un rapporto morbido con i calciatori. Anche in Inghilterra, in Francia, in Germania: non è solo un costume italiano. Io però non ho nelle corde questo tipo di atteggiamento. Non voglio l’esecutivo di ordini, non voglio soldati. Qui giochiamo a calcio”.

Ancelotti risponde alle domande degli studenti. Come si gestisce un giocatore che vuole cambiare squadra? “Si manda via, semplice”.

Come si tengono insieme tante primedonne? Cristiano Ronaldo è una primadonna per i media e l’ambiente, ma c’è un luogo che è lo spogliatoio dove si è tutti uguali. Nel posto di lavoro è trattato come gli altri. In generale comunque il giocatore più forte non lo è per caso, non è una questione solo di talento. Ci devono essere anche personalità e condizione fisica. I calciatori ormai sono delle industrie e ho notato molta professionalità in Cristiano Ronaldo, Ibrahimovic, Beckham. Ai miei tempi non lo si era per niente: non c’era prevenzione, si abusava della preparazione. Oggi a 60 anni ho artrosi, mal di schiena, operazione alla cervicale, ma adesso è tutto diverso. Io non li ammazzo i giocatori sul campo, poi la tecnologia ci aiuta: abbiamo dei dati che ci permettono di fare preparazioni mirate e questo ha ridotto i tempi di lavoro.

Gli allenatori spesso cambiano club. Come si dà sempre un forte senso di appartenenza? “Questo è più legato ai calciatori. Le squadre che hanno fatto cose migliori le hanno fatte con giocatori cresciuti nei vivai, ad esempio il Milan e il Barcellona o il Bayern negli anni passati. Per un allenatore è complicato perché di media la permanenza è di un paio d’anni”.

Che idea si è fatto del comportamento negli stadi? “Ci sono comportamenti negativi che all’estero sono stati quasi totalmente debellati. Si deve avere rispetto, non è una cosa complicata. In questo senso in Italia le cose non sono cambiate: ignoranti e maleducati continuano ad andare negli stadi. Ho sentito un’intervista di Gravina e lui sta semplificando questa norma che esiste. Sento dire ‘Ancelotti non può fermare le partite’, ma noi abbiamo solo chiesto quando ci sia un insulti territoriale o razziale. In Bologna-Juve è stato preso di mira un ragazzo di 20 anni, è giusto fermarsi temporaneamente per calmare gli animi. È solo questo”.

Ha mai avuto giocatori che hanno remato contro? “Non ho trovato calciatori così, ma gente con cui non ero d’accordo sì. Non pensiate che il giocatore solo perché guadagna sia felice: vuole giocare. Andare contro l’allenatore significa anche andare contro i propri compagni, e difficilmente accade perché nessuno vuole andare contro la squadra. Chi non gioca è facile che perda motivazione e cala l’intensità dell’allenamento: sarebbe un disastro. A livello psicologico la focalizzazione è soprattutto con chi non gioca. Spesso la scelta di formazione è legata a piccolissimi dettagli, sensazioni e sono cose che non si possono spiegare ai calciatori, a volte non si può dire tutta la verità. Si parla tanto di turnover, è importante ma più sotto l’aspetto psicologico nella gestione di un gruppo”.

Sono stati fatti passi in avanti nella lettura a partita in corso rispetto alla precedente gestione: questo aspetto è rafforzato dal fatto di essere stato calciatore?
“Ognuno la vede a modo proprio, è qualcosa di soggettivo. Io ho una lettura della partita dalla panchina ed è totalmente diverso di quando poi rivedo la partita con le inquadrature dall’alto. Abbiamo un assistente in tribuna e ci confrontiamo alla fine del primo tempo e molto spesso ci sono punti di vista diversi. La squadra deve avere un’identità precisa e dei principi di gioco. La nostra fase difensiva non cambia mai perché i giocatori preferiscono difendere così, ma la fase offensiva cambia in base all’avversario. Poi ritengo che sia l’allenatore a modellare un sistema attorno ai giocatori e non viceversa”.

Quanto tempo serve per costruire un gruppo vincente? “Non saprei, non è un percorso lungo comunque. Il Napoli ha costruito un progetto vincente: negli anni è salito dalla C alla Champions con i bilanci a posto. Vincere è un’altra cosa ed è impossibile fare delle stime. La vittoria è legata a dei dettagli, ma questo gruppo può vincere. Sono convinto a sensazione che non ci sia da aspettare tanto, perché la squadra mi sembra forte. La società ha investito bene, il gruppo è giovane e sano e si investirà ancora”.

Come si gestisce un giocatore problematico? “Ogni tanto c’è qualcuno che tarda agli allenamenti ma ci sono delle regole interne di disciplina gestite dai calciatori stessi. Niente di particolare. Io comunque non mi sono mai permesso di controllare la vita privata dei calciatori. Meglio un giorno di vacanza che un giorno di allenamento fatto male”.

Quanto può essere importante la figura di uno psicologo in una squadra?
“Personalmente penso che una figura del genere possa essere molto importante, ma il problema è quanto poi il gruppo accetti questa figura. Se diventa un’imposizione non va bene, in caso contrario può dare dei vantaggi”.

Come può crescere una società? “Nel calcio moderno la differenza nei fatturati la fa chi ha la proprietà dello stadio. Al Bayern Monaco, dove c’è lo stadio sempre primo, ad esempio, si vendono 30 mila litri di birra a partita, media di mezzo litro a spettatore. Poi ci sono i diritti televisivi: in Premier League hanno avuto la forza del Commonwealth come bacino di diffusione. Lo stesso discorso vale per le sponsorizzazioni”.

Che differenza c’è tra allenare i giovani e la prima squadra? “Allenare una squadra giovanile è un altro mestiere, che io non sarei in grado di fare. Su Gaetano gli aspetti formativi non sono stati curati da me, lui arriva già professionista in prima squadra”.

Fonte: Sky

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