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Inter-Napoli, tutta la verità sulla guerriglia e gli scontri tra ultras

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Inter-Napoli il 26 Dicembre è balzata agli onori (o gli orrori) delle cronache più per gli scontri avvenuti in Via Novara, a Milano, rispetto a quanto accaduto in campo, a San Siro, tra le due squadre. Non è stato un agguato, ma un appuntamento tra ultrà rivali. Non un’eccezione, ma la regola del tifo estremo. Non solo Milano, ma Verona, Roma, Londra, Parigi, Berlino, Amsterdam, Mosca. C’è uno strano fenomeno che attraversa l’Europa, saldandola molto di più della moneta unica. Un fenomeno poco raccontato, persino sottaciuto, dove l’Inter-Napoli di turno diventa pretesto per una sorta di “Fight club” all’aperto. L’edizione odierna della Gazzetta dello Sport ricostruisce tutta la verità sui fatti del Boxing Day.

Un fenomeno sviluppatosi in Inghilterra, in Francia e in Russia da noi è cresciuto parallelamente ai daspo distribuiti nelle varie curve e questo fa capire come un provvedimento simbolo dello Stato si sia trasformato in boomerang, perché il problema violenza è sempre meno frequente negli stadi, ma i numeri non sono in calo. Meglio, sono in calo gli episodi intercettati dalle forze dell’ordine, ma tantissimi sfuggono ai radar o lasciano minime tracce. Ecco perché parlare di “semplici incidenti” non aiuta a capire, inquadrare e infine trovare i rimedi concreti per contrastare un fenomeno che si è talmente diffuso tanto da aver creato persino la figura del “pendolare degli scontri” che si sposta di città in città non per turismo: ha l’unico scopo di battersi con ultrà avversari. Si possono seguire le logiche delle alleanze (ecco spiegata la presenza di quelli del Nizza e del Varese a fianco degli interisti) oppure fare il cane sciolto e annusare l’odore della battaglia. Così, all’estero si ritrovano dalla stessa parte della barricata persone che in Italia sarebbero nemiche.

Guido Salvini, il giudice delle indagini preliminari, ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dal suo avvocato perché si è rifiutato di dare elementi utili a sbrogliare la matassa di quello scontro.

Comportamento omertoso, ma in linea con la mentalità dura e pura da ultrà. Piovella ha però fatto un’eccezione: al gip ha riferito dei soccorsi prestati all’amico Dede Belardinelli, travolto e ucciso da una o due macchine in fuga dall’inferno. Ecco, alcuni di quei passaggi uniti alle parole di Luca “il Gigante” Da Ros (membro dei Boys nerazzurri, arrestato perché presente agli scontri e messo ai domiciliari per aver collaborato con gli inquirenti) e alle dinamiche adottate dalle due fazioni (napoletani compresi) ci riportano alla maledetta sera di Santo Stefano. Secondo i tam tam del mondo ultrà, doveva essere un regolamento di conti concordato, una “guerra pulita” con tanto di appuntamento preso nei giorni precedenti. La morte di Belardinelli ha cambiato la scena. E adesso la stessa inchiesta giudiziaria potrebbe approfondire un aspetto non secondario. Al momento la Procura di Milano insegue altre priorità: identificare più ultrà possibili fra chi ha partecipato alla guerriglia scoppiata in via Novara, un paio di ore prima di Inter-Napoli, e distribuire le varie responsabilità. Capire il prequel degli scontri potrebbe entrare nella seconda parte delle indagini, quando i pm e il gip compiranno nuovi interrogatori nel tentativo di sfondare il muro di reticenza che ha reso complicata la ricostruzione del puzzle. Chi aveva avvisato gli ultrà del Nizza? Come sono arrivati in Italia? Davvero l’idea era un assalto alla colonna dei rivali napoletani (dove potevano benissimo esserci anche delle famiglie) diretti allo stadio, per costringerli a farli scendere dalle auto con una modalità “infame” secondo le logiche del tifo estremo?
I modi per attivare una guerriglia concordata sono sconosciuti al mondo normale, ma al contrario nell’universo ultrà le ha regolate una consuetudine pluridecennale.
Il contatto avviene su cellulari puliti (oppure anonimi indirizzi mail) usati solo per questo scopo, una volta accertata la disponibilità a scontrarsi si decide il luogo (quasi sempre distante dallo stadio per evitare l’intervento delle forze dell’ordine e il coinvolgimento di tifosi comuni), l’orario e le armi della contesa. Nella mentalità ultrà, le pistole sono un disonore; i coltelli a lama corta permessi solo per colpire nelle parti inferiori; si prediligono mazze di plastica dura, bastoni, aste e tirapugni. C’è poi un segnale convenzionale (petardi e fumogeni i più gettonati) che dà il via alla “partita”, quasi fosse il fischio dell’arbitro: a quel punto gli eserciti si schierano con precisi rituali e si procede a ondate. Il corpo a corpo è il momento clou e ci si allena per parare i colpi e infliggerne ai rivali. Le ferite sono messe in conto (cure fai da te, mai in strutture pubbliche) e una denuncia per i danni riportati è impensabile.
Fonte: Gazzetta dello Sport
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