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Bertoni si racconta: “Quanti litigi con Diego. Con la Juve odio atavico”

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Daniel Bertoni, ex attaccante del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista ad Il Mattino in cui parla del suo approdo a Napoli, dell’odio che si percepisce nelle sfide alla Juventus e di alcuni retroscena che lo vedevano protagonista insieme a Maradona per i calci di punizione.

 

Estate 1984, mi misi d’accordo con Juliano qualche giorno prima del sì di Maradona perché Napoli fin dai tempi di Sivori era come una seconda casa per noi argentini. Sarei venuto anche se non avessero preso il più grande di tutti”.

Ha pure lui quel tocco su punizione con cui ha incantato l’Italia? «Vedo che ha un bel tiro, non ha ancora quel giro che facevo fare io al pallone. Ma prima o poi gli mostro per bene come si fa».

Perché c’è un trucco? “Il trucco più antico di sempre: allenarsi all’infinito, come facevo io fin da bambino, quando il pallone era una sfera pesantissima e per alzarlo da terra dovevi avere davvero il piede fatato. Ai miei tempi, solo uno calciava le punizione come me…”.

Posso immaginare. Quanti bisticci per chi dovesse farlo. Io e Diego ci dividemmo le aree di influenza: allora, se c’è da calciare da destra, vai tu, sennò vado io. In allenamento ci scatenavamo: una volta durante il riscaldamento prima di una partita a Roma, iniziammo a bombardare Garella. Lui ci prese gusto, e io e Diego pure. In pratica, non ci accorgemmo che la partita stava per iniziare, il nostro duello era diventato più importante della gara di campionato. Garella era scatenato, aveva un c… incredibile, le prendeva tutte”.

Eravate amici con Maradona? Un buon rapporto. Ma amicizia è un’altra cosa. Prima di Napoli-Arezzo, esordio per tutti e due al San Paolo in Coppa Italia, lo stadio è pieno. C’è un calcio di punizione: lui ha già segnato e io muoio dalla voglia di far gol. C’è punizione per noi, piazzo la palla e lui fa il segno che vuole essere lui a battere. Io faccio finta di essere d’accordo. Piazza la palla, si gira, prende la rincorsa ma io sono più veloce di lui. Segno. È l’unico che non festeggia mi guarda e mi fa: bravo, ma non farlo mai più”.

Di Napoli che ricordi ha? A casa di Peppe(Bruscolotti) ho vissuto un bel po’ di settimane in attesa che si liberasse un appartamento a Marechiaro. Una ospitalità unica, da vero capitano, da uomo vero legatissimo a quella maglia azzurra. Io quando sono venuto a Napoli ho tirato un sospiro di sollievo: a Bruscolotti non lo superavo mai quando lo affrontavo con la Fiorentina, era terribile. Se passavo, mi prendeva le gambe. Ai miei tempi, era così. Quando saltavi un difensore, lo facevi per legittima difesa più che per andare a fare gol”.

Due scudetti persi, sempre la Juve. “Mai visto un odio per una squadra come per la Juve in Italia. Di rivalità ne ho viste tante. Eppure, sia con la Fiorentina che con il Napoli quando ci si avvicinava a quella gara, i tifosi avevano gli occhi rossi di rabbia: mi raccomando, vincente, massacrateli. Ora è la stessa cosa, mi pare di capire”.

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